giovedì 24 aprile 2014

Ci metto la faccia...



Il 23 aprile è stata la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto D'Autore, oggi voglio puntare i riflettori sulla simpatica iniziativa culturale che ha preso il via proprio ieri...
 
 


http://www.cittainvisibili.org/cimettolafaccia.aspx?p=66
INVIA LA TUA FOTO CON I LIBRI CHE HAI NEL CUORE
 
Questo è il libro che ho scelto 

 
 Alla volta di Lèucade di Nazario Pardini edito da Baroni, 1999
 
Dalla recensione di Umberto Vicaretti, Roma, 27 febbraio 2011
 
«[...] Ho letto con coinvolgimento e partecipazione la tua Leucade, dove nella prima parte, “Stagioni”, proponi una sorta di conto consuntivo, un inventario della memoria, un viaggio nel passato, rivissuto con la nostalgia delle cose buone della vita, di quando le “note stonate” degli zufoli “depredati a canne di golena /…/ andavano nell’aria / come spiriti liberi dal gioco / rischioso della vita” (Zufoli e fili d’erba). Era il tempo in cui “rifulgevano i sogni”, l’età in cui “raggi tardi e restii si staccarono / dal sole e differirono la notte” (Vaghezza). È, questo, un’emozionante rievocazione dell’ “età più bella”, senza però la leopardiana “lamentatio” per una Natura matrigna e spergiura, ma con la responsabile accettazione della vita e dell’avvicendarsi delle stagioni; non solo, e non tanto, di quelle climatiche e fisiche, quanto piuttosto di quelle che caratterizzano e segnano l’umana avventura. Si tratta di una consapevolezza allertata già da quando “dissestavamo i colli con rapine / di gemme incastonate sui declivi”, quei declivi che restano i luoghi indimenticati della memoria e in cui, “tra gli stecchi, /…/ si staglia l’ombra del nibbio”, che “scatta repentino / e fulmineo sul merlo disattento / in cuore al leccio”. Disarmonia fatale, questa, che incrina le certezze del sogno, per cui, smarriti, “si parlò di morte nell’ebbrezza / tenera di dolcezze tra i filari” (Che pensare). Eppure si doveva andare, per intraprendere quel “viaggio / che sempre ti promisi /…/ Era il viaggio di un’intera vita” (Vaghezza). La vita, dunque, come perenne viaggio. Il viaggio come partenza, fuga, ritorno, desiderio, ripartenza, approdo; ma anche il viaggio come insopprimibile impulso ad oltrepassare l’esperienza sensibile per proiettarsi in un altrove onirico e catartico, per dimenticare il quotidiano ed esorcizzare la morte: “… Volare / sopra la terra bigia, oltre la notte, / … / avanti che l’oscuro senza stelle / continuasse nero il suo silenzio” (Vaghezza). Ed è sempre il viaggio a legare, come un filo rosso, anche le altre parti del libro:  La sera di Ulisse. Poemetti serali;  Fuga da settembreSulle rive del Biondo e dello Xanto-Canti arcaici. Esse declinano le diverse fasi del viaggio, certificandone la valenza e il senso, individuando in Ulisse l’universale metafora della conoscenza e della sfida, il suo sempiterno partire, ma anche il suo sempiterno ritornare e, ancora, l’inesausto ripartire. Nell’opera sono molteplici i rimandi ai grandi spiriti della letteratura, così come i contesti e gli stilemi, che spesso, tra gli altri, riecheggiano, insieme a Leopardi, Foscolo, Pascoli, i grandi del Novecento, Montale e Quasimodo, ma anche D’Annunzio e Ungaretti, e Luzi (oltre che, beninteso, Dante e Virgilio, nonché gli amatissimi classici latini e greci). Fuga da settembre ci introduce dunque in un viaggio “da”, ma non si sa per “dove”. Certo, sarebbe meglio vivere nell’incoscienza degli uccelli (ed evocato, in Da un ramo dell’acacia, è chiaramente il “passero solitario”): “Tu non sogni! / Neppure sai riflettere: la vita / è morte differita giorno in giorno”; così come sarebbe certamente meglio vivere nell’innocente inconsapevolezza dei bambini, i quali “non pensano di certo né alla vita / futura, né agli affanni che verranno /  nemmeno alla sorte” (Non pensano di certo). Ma diversa è la dimensione di chi avverte il tempo che chiama: “È qui con noi settembre. Chiude l’occhio / da prono girasole ad occidente / …/ Il tempo non ha tempo; si è fermata / per eterno la sfida dello scoglio / munito dello scudo contro il vento /…// Di certo sperderà questo settembre / i nostri corpi in seno alle conchiglie” (È qui con noi settembre). Ed è proprio la percezione della precarietà e dell’umana fragilità che spinge a ricercare non solo il senso e la direzione del vivere, ma spinge anche ad una sorta di redde rationem, ad un consuntivo della vita: “È questa l’ora / in cui tiriamo somme e meditiamo” (Come le foglie logore a settembre). E questa percezione si fa più urgente e acuta nel settembre dei nostri giorni: “Avvenne proprio là. Nel punto in cui / scorre il diletto fiume, (…) / … / quasi al termine del suo fluire” (Nel regno delle Eumenidi). È qui, nel settembre dei nostri giorni, che la percezione dell’umana fragilità si fa più acuta, e più urgente diventa l’esigenza di un consuntivo, con l’accettazione di un giudizio e con il consequenziale “affido” alle Erinni/Eumenidi, metafora immaginifica e visionaria di un dare e di un avere di esclusiva valenza etica e laica: “Ma non so se vale / di più restare immoti nella stasi / di un eterno sereno che provare / il dolce senso del dolore umano” (Fuga da settembre). Dunque, il dado è tratto; Ulisse si appresta di nuovo a partire, perché “È sempre aperta / la sfida tra l’eterno e me che cerco / con gli occhi indolenziti quella luce / che mi soverchia”. Proprio per questo irresistibile richiamo, “Ancora salperemo / oltre colonne (…) / d’impedimento ai sogni” (Il ritorno di Ulisse), questa volta per oltrepassare le colonne del mistero e dell’inconoscibile. Ma per compiere il salto “nell’oscuro senza stelle”, fortissimo è il richiamo dell’isola del sogno, indimenticato luogo della nostalgia e della memoria: Leucade. Lì sarebbe dolce ritornare per tentare l’estremo volo. Una diversione felice, una sorta di “scalo tecnico” propiziato da una sorte benigna nella terra della bellezza, alle sorgenti del canto, pura epifania della parola. Lì, con Alcmane e Saffo, e Anacreonte e Alceo e gli altri  sarebbe bello chiudere il ciclo e dare un senso alla “fuga da settembre”. Alla volta di Leucade, dunque, dove il sogno è “nell’attimo superbo / di eternare la gioia dell’amore”, e dove “Nessuno pronuncerà di certo il verbo furono / per i miei versi”, perché  “Moriranno gli eroi, le bellezze / di cortigiane effimere e procaci, / ma un cantico se eccelso volerà / oltre gli spazi frali degli umani” (Da Saffo a Anacreonte).
Fuggire da settembre, dunque, per intraprendere il viaggio alla volta dell’isola del desiderio, e lì compiere l’estremo atto: “Io ti lasciai e un salto nelle oniriche / acque di Leucade non mi concesse / morte né oblio” (Fuga da settembre). Un salto rigeneratore che, invece che certificare uno iato incolmabile tra la realtà e il sogno, prodigiosamente ristabilisce un continuum tra l’ombra e la luce (“E ti rivissi, vita”), dà scacco al silenzio e all’oblio, annuncia una nuova rinascenza.
Sul piano stilistico, notevoli risultano la ricchezza sontuosa del lessico, la padronanza della metrica, il ricorso privilegiato e dominante all’endecasillabo; quest’ultimo come, starei per dire, scelta di campo, rifiuto di ogni avanguardismo, moda, sperimentalismo, avventurismo. Un endecasillabo luminoso e fonicamente accattivante, armonioso e ampio, sostenuto da una naturale e mai artificiosa declinazione delle varie figure retoriche. La nobiltà di un linguaggio alto e aulico finisce per dare alla raccolta, paradossalmente, un crisma di rivoluzionaria modernità, se vi sappiamo individuare e “leggere” originalità e invenzione, purezza visionaria e inesausta forza creativa.»